L’Ikea è la prima a trasmettermene ogni anno la sensazione. Con le sue candele, i suoi lumini, le sue infinite decorazioni per l’albero, che a settembre arrivano con il nuovo catalogo nella buca, e ritirandolo la domenica sera di ritorno dagli ultimi week end liguri di mare, la domanda mi attanaglia: “Sta finendo l’estate?”.
Ma quando ormai Torino si riempie di Luci d’artista, l’estate è finita da un bel pezzo. Ed il cappotto, liturgicamente conservato sotto naftalina per più di 6 mesi, esce fuori (non da solo però, all’appello anche duvet, pellicciotto, giubbotti…..ma il cappotto è il capo di tutti). L’Ikea a Torino, una delle prime in Italia, venne aperta proprio sotto il periodo di Natale: in promozione, l’iniziativa “Arriva presto e vinci il primo regalo di Natale”…un’ottima scusa per uscire di notte alle 4 ed arrivare quando solo i primi avventati già facevano la coda. Chiusi in auto, a scaldarci con il nostro amore da ventenni, convinti che neppure il gelo polare ci avrebbe intaccato….e riniziò a nevicare, ed una coltre bianca invase la pianura di periferia, facendo risaltare il casermone giallo e blu illuminato a festa come una cattedrale in un deserto gelato. Gentilissime, le donnine dell’Ikea, geishe nordiche con i loro grembiulini bianchi e rossi e le trecce arrotolate, ci offrirono all’alba bevande calde e biscotti alla cannella. Le porte si aprirono come in un santuario e noi pellegrini ad entrare nella casa di Babbo Natale al suono di Space Cowboy, affinché non ci fosse quella sensazione di tradizione da Jingle bells, ma la modernità del luogo nel design sobrio e nelle note del felino JamiroQuai (non conosco esempio umano più gatto di lui, come salta, si piega, si inarca, soffia e miagola). Ottenni un buono omaggio da 100.000 lire e presi una sedia, regalo di Natale per Roberta, la mia migliora amica dal liceo. Che il giorno prima mi aveva fatto aspettare un’ora e mezza sotto la neve alla fermata del tram e quando presi la sedia, sentii che il rancore ancora ribolliva in me. Fu la prima volta in cui me ne andai, anni e anni di ritardi, io puntuale sempre ad aspettarla, ma quella volta il limite era stato sorpassato, possibile che i pesci vadano sempre accettati per quel che sono?
La risposta è sì. Un tirocinio di attese che dura da più di vent’anni e grazie al quale sono cambiata: ho imparato a vivere con normalità i concetti di ritardo, indecisione, sfasamento. Per quanto non mi appartengano, li rispetto negli altri e ogni tanto in me stessa, quando con stupore ne sento la contaminazione. Lei mi ha dato il senso del cambiamento sempre possibile, dell’accettazione della diversità ed il profondo rispetto dell’entità individuale. Perchè per me lei c’è e ci sarà sempre. Anche se non ha orologio ne calendario. Anche se è impossibile organizzare, perchè in lei il fascino dell’imprevisto prevale sempre su tutto. Per sempre, anche nei periodi di lontananza e di percorsi diversi, anche quando i ritardi sfociano nell’assenza tout court. Io lo so e mi impegno a cercarla. Lei lo sa e si impegna a rispondere al telefono. Quello che se fosse per lei, servirebbe solo a ricevere telefonate perse. Peccato che ora sia chiusa in un recinto, lei con un passato da animale allo stato brado. Mi guarda e mi dice: si sono invertiti i ruoli. E io la conforto: mi raggiungerai e supererai, vedrai, sei sempre stata tu la maestra e le nostre fasi in fondo sempre opposte.
Ogni anno sotto Natale la stessa storia: io a posto con i regali da settimane, a Torino solo per qualche giorno per stare con famiglia e amici per poi svernare da qualche parte al caldo, a doverla puntualmente accompagnare la vigilia nella sua corsa frenetica di acquisto di regali (tutti) per poter passare almeno un pò di tempo con lei….Ogni anno pacchi, fiocchi (guai per lei prescindere dall’originalità della confezione), parcheggi in sosta vietata, corse, collina-centro-collina, multe, il tutto alternato ai nostri racconti, quelli per cui il Natale ti stimola alla confessione, magari il tralasciato degli ultimi 6 mesi, nonostante l’aver passato lunghe domeniche insieme…l’amicizia, si sa, spesso ti permette di capire o per lo meno intuire senza sapere e quindi ti prendi il lusso di non dire o chiedere….E così perdiamo regali per strada, arriviamo in ritardo agli appuntamenti. Io però non mi sento mai in colpa con lei, anzi mi diverto: lei è una ritardataria giustificata dal mondo, nessuno si aspetta mai da lei puntualità. Io, special guest, di conseguenza. Penso che se arrivasse in anticipo, sì che allora noi ci dovremmo preoccupare. Ogni anno la stessa storia: scusate non ce l’ho fatta a scrivere i biglietti di auguri, ma sono stata molto impegnata (da leggersi: ho cazzeggiato e perso un casino di tempo). Ma per me il biglietto c’è sempre, lo nascondo di fronte agli altri amici al mitico tè di natale (pietra miliare da me trascurata e saltata per alcuni anni, ma rientrata con tappeto rosso, tamburi e rimproveri l’anno scorso) perchè non sia evidente la mia condizione di privilegiata, anche se ovvia e rispettatissima. Natale. Passa così in fretta, al ritmo di un pacco spacchettato e una fetta di pandoro. Non sono portata per le grandi cerimonie. Faccio in modo che il Natale mi coinvolga con la sua tradizione e i più o meno stupidi rituali, ma non mi assorba. Mi diverto ad invertire le statuine nel presepe di mia madre o ad aggiungerci elementi estranei, dissacranti a sufficienza da ferire con urla la sua religiosità. Vado alla messa della vigilia solo perchè lei canta nel coro, ma poi quando mi trovo lì, sento che c’è sempre uno spazio per una tensione religiosa, anche se diversa da quella celebrata.
Natale è sentirmi addosso una sensazione di calore anche quando fuori fa freddissimo, è guardare il fuoco e sentire un brivido sulle parti del corpo non coperte da indumenti, è portare maglioni grossi che ti fanno prurito al collo, è diventare paonazzi in faccia perchè nelle case il riscaldamento è sempre a mille, e poi luci ovunque, e poi qualche bicchiere di spumante di troppo.
Natale è sentire che il posto in cui è veramente desiderata la tua presenza è sempre lo stesso, e la tua assenza sarebbe una privazione.
Natale è sentirsi lo stomaco scoppiare e mettere in programma una futura dieta disintossicante. Natale è sentire che quel momento è sempre uguale anche quando tutto ti è cambiato, anche quando ti è crollato il mondo addosso o quando sei talmente felice che lo potresti sollevare con un dito e soffiarci intorno. Natale sopravvive ai cambiamenti.
Questo è il mio Natale, che se non ci fosse sarebbe un peccato.
Buon tuo Natale.
Laura